Trascrizione video:
Buongiorno; sono il dottor Stefano Ciaccia, sono un oculista, mi occupo di vitreoretina e ringrazio Blue Eye per l’invito a parlarvi, oggi, di chirurgia vitreoretinica; lavoro presso l’Istituto Auxologico Italiano, dove, insieme al mio primario, il dottor Bergamini, mi occupo di chirurgia vitreoretinica e, per darvi alcune indicazioni, noi abbiamo eseguito, nell’anno 2017, 230 procedure di chirurgia vitreoretinica, di cui 160 di chirurgia maculare, 52 interventi di distacco di retina tra episclerale (quindi chirurgia ab-externo) e vitrectomia (ovvero chirurgia ab-interno) e poi 28 interventi per altri tipi di patologie (sempre vitreoretiniche).
Come si può vedere, la chirurgia maculare è una chirurgia che investe in molti pazienti, percentualmente; parlando di chirurgia vitreoretinica e quindi di chirurgia maculare, dobbiamo subito dire che negli ultimi anni (10 anni ma esponenzialmente negli ultimi 5 anni) ci sono state delle variazioni e delle innovazioni tecnologiche sorprendenti: quando io ho iniziato, diversi anni, fa con la chirurgia vitreoretinica, avevamo degli strumenti dal diametro di 20 gauge (cioè circa 1 mm) ma oggi siamo a strumentazioni che hanno assunto una miniaturizzazione molto importane, arrivando a circa mezzo millimetro, quindi si è passati da 20 gauge a 23, poi 25 e oggi 27 gauge; questo significa che gli strumenti che noi andiamo a mettere nella parete dell’occhio per manovrare e per eseguire le nostre manipolazioni all’interno del bulbo oculare, hanno il diametro, la dimensione di un capello, più o meno, e questo avrà, come vedremo, degli effetti molto positivi sull’infiammazione e sulla ripresa nel postoperatorio.
Perché l’industria si è ingegnata per ridurre il più possibile il diametro di questa strumentazione? Per avere lo stesso o il miglior risultato di un calibro ampio ma con un calibro, invece, più piccolo, cioè mininvasivo e infatti questo tipo di chirurgia si chiama “chirurgia mininvasiva”.
Cos’è meglio? 25,23,27 o 20 gauge? Non c’è una regola fissa, bensì dipende dal tipo di intervento, dal tipo di occhio e dal tipo di patologia che dobbiamo affrontare.
In letteratura abbiamo dei dati e abbiamo, rispetto al 20 gauge (che diciamo essere stato, per diversi decenni, il gauge standard), una miniaturizzazione a 25/23 gauge e una formazione di cataratta che è più o meno la stessa; l’ipotono è basso nonostante abbiamo una misura più piccola del calibro degli strumenti (ipotono vuol dire la pressione bassa dell’occhio a fine procedura); poi il rischio di distacco di retina iatrogeno, cioè causato dalla manovra chirurgica che il chirurgo mette in atto per mettere a posto la patologia oculare, si presenta in misura notevolmente minore rispetto alla chirurgia tradizionale 20 gauge.
Quello che inizialmente ci faceva temere maggiormente, come problematica legata alla chirurgia mininvasiva, era l’endoftalmite, cioè l’infezione all’interno dell’occhio ma questo rischio è molto basso; brevemente vi spiego che il motivo per cui si temeva il rischio di endoftalmite era legato al fatto che durante la procedura con un diametro ampio noi siamo costretti a mettere dei punti di sutura e questi punti di sutura impediscono che ci sia un accesso di eventuali microrganismi all’intero dell’occhio e quindi un’infezione. Con il gauge più piccolo noi possiamo addirittura non mettere alcun punto di sutura, anche perché la chiusura della bocca, a livello della parete sclerale, viene fatta in una certa maniera (che poi mostrerò) e questo faceva temere un rischio di infezione ma in realtà non si è registrato un rischio di infezione, come si temeva, più alto, quindi il rischio c’è ma è molto basso e al momento sono in corso studi di pubblicazione, però non c’è letteratura per la chirurgia maculare 27 gauge, poiché, come dicevo, si tratta di una recente acquisizione.
Perché vale la pena un calibro minore? In parte lo abbiamo già detto, però analizziamo alcuni punti: un calibro minore significa un minor trauma di parete, minor turbolenze, quindi minor perdite di fluidi e minor ipotono ed è per questo che potenzialmente si associa a una maggiore sicurezza; tutto questo porta con sé una minor infiammazione postoperatoria e un minor fastidio, un minor discomfort da parte del paziente; questa cosa si traduce in una ripresa più rapida da parte del paziente nel postoperatorio e quindi anche una riabilitazione più rapida. Tutti questi motivi giustificano lo sforzo delle industrie farmaceutiche per cercare di miniaturizzare gli strumenti e al contempo giustificano l’impegno e la fatica che noi chirurghi dobbiamo fare per adeguarci a questi nuovi strumenti.
Analizziamo alcune caratteristiche per il 25, il 23 e il 27 gauge e vediamo se ci sono differenze; dunque analizzeremo l’inserzione dei trocars, i sistemi di illuminazione, le caratteristiche di taglio, gli strumenti chirurgici, le manovre intraoculari, l’iniezione di sostituti vitreali e la curva di apprendimento (ovviamente ci riferiamo sempre alla chirurgia maculare).
Qui abbiamo l’inserzione del trocar: come vi raccontavo prima, noi spostiamo la congiuntiva con un asciughino e poi entriamo con una manovra in cui andiamo prima quasi tangenziali e poi verticali; questo per quanto riguarda il 23 gauge.
Qui abbiamo il 25 gauge: come vedete la manovra è pressoché identica.
Stessa cosa quando andiamo a inserire il trocar nel 27 gauge: quello che si vede è ovviamente un diametro della lama, che perfora il bulbo oculare, molto più sottile, quindi l’inserzione di trocar è la stessa cosa.
Sistema di illuminazione: come si può vedere da queste immagini, la visualizzazione del fondo oculare durante gli interventi di peeling, cioè di rimozione di membrane epiretiniche, è assolutamente uguale indipendentemente dal tipo di calibro.
Cos’è il candeliere? È una luce (come se fosse il lampadario della stanza) che viene inserita nell’occhio e questo ci permette di andare a utilizzare sia la mano destra, che entra da questo trocar qui, che la mano sinistra, che entra da quest’altro trocar (i trocar sono delle guide attraverso cui noi inseriamo i vari strumenti); questo candeliere viene inserito e non c’è alcuna differenza per quanto riguarda il 23,25 e 27 gauge; diciamo, però, che il candeliere non è utile per la chirurgia maculare e quindi è raro l’utilizzo del candeliere, appunto, in questo tipo di chirurgia.
Guardiamo adesso le caratteristiche del vitrectomo: questa è una diapositiva di circa un anno, un anno e mezzo fa ed è una diapositiva ormai obsoleta, questo a riconferma del fatto che c’è una continua evoluzione dei sistemi chirurgici che le industrie farmaceutiche ci offrono; vedete qui che abbiamo una velocità di taglio molto alta ma questa diapositiva è superata da quest’altra diapositiva, in cui si vede che la velocità di taglio non arriva più a 2500 tagli ma arriva addirittura a sfiorare gli 8000 tagli, il che vuol dire che la bocca del vitrectomo, cioè dello strumento che aspira il fluido e taglia il fluido vitreale, ha una velocità di taglio molto alta e ciò significa minori turbolenze; mi spiego meglio con questi due video:
Questa è una bassa velocità di taglio e vuol dire che la bocca viene aperta, viene chiusa e vengono fatti dei bocconi grandi, che determinano, però, delle turbolenze all’interno dell’occhio; vedete come la retina viene spinta, viene strattonata (diciamo così).
Alta velocità di taglio significa, invece, che ci sono bocconi più piccoli ma più velocemente e quindi vedete come le turbolenze e le trazioni all’interno del bulbo oculare e quindi le trazioni che si ripercuotono sulla retina, sono minori; minori trazioni sulla retina significano minor rischio di provocare, noi chirurghi, delle rotture o delle alterazioni sulla parete retinica, che possano essere di danno.
Manovre intraoculari: non c’è nessuna differenza in chirurgia maculare, poiché in quest’ultima non è richiesta nessuna manovra particolarmente complessa dal punto di vista procedurale.
Sostituti vitreali: anche lo scambio dei fluidi durante l’intervento è assolutamente identico, cambiando però i diametri cambia la velocità degli scambi dei fluidi o dei gas all’interno del bulbo oculare, poiché il diametro fa sì che arrivi una quantità di fluido molto minore e questo dipende anche dalla viscosità dei fluidi che andiamo a utilizzare (non mi addentro per non deviarvi).
Strumenti chirurgici: il 25 e il 23 gauge non hanno praticamente alcuna differenza; come vedete, la membrana epiretinica viene morsa dalla nostra pinza, viene strappata via delicatamente e non c’è problema per quanto riguarda la flessione di questi strumenti.
Caso diverso riguarda, invece, i 27 gauge, poiché la pinza è molto più sottile e quindi, essendo più sottile, è anche più flessibile e questo richiede una maggior cautela nei movimenti e una maggior delicatezza, anche se l’industria tecnologica ci sta fornendo degli strumenti che hanno una capacità di una minor flessibilità legata a una base più rigida, che è la base che noi andiamo a utilizzare facendo leva sul trocar, in maniera tale da evitare che questa flessione possa determinare un’involontaria toccatura sul piano retinico e quindi possa determinare una rottura iatrogena.
Ecco, questa è la pinza da 27 gauge e questo qui è il trocar, come vi stavo raccontando; noi facciamo leva sul trocar, qui c’è la parete dell’occhio e questa parte qui è stata rinforzata per cercare di avere una minor flessibilità (questo qui è un vitrectomo, non una pinza).
Questa qui è la fibra ottica, che a fine intervento io vado a rimuovere; come vedete, la mia manipolazione e il mio lavorare sul bulbo oculare con la fibra ottica ha determinato un’evidente flessione della fibra ottica stessa e quindi, prendendo la pinza che prima ho usato per strappare la membrana sulla retina, vedete com’è delicata e come, con un gesto molto dolce, la fibra ottica viene spostata.
Questo a dimostrazione del fatto che è vero che i sistemi sono sempre migliori, però è anche vero che nella vita reale questo è quello che a noi chirurghi capita.
Questo è l’aspetto del bulbo oculare prima dell’intervento e dopo l’intervento e come vedete c’è una differenza minima: come si può osservare noi non abbiamo dovuto mettere dei punti e il bulbo oculare appare tonico, quindi non ha un aspetto di pressione bassa e questo vuol dire che, facendo l’ingresso dei trocars, come vi ho indicato in precedenza, ci permette di avere una chiusura “a becco di flauto”, dunque assolutamente a tenuta.
Questi sono degli esempi di interventi prima e dopo la chirurgia membrana epiretinica, che stava formando un foro lamellare in questo caso; tolta questa membrana che tirava, la macula ricomincia a prendere la forma normale (questo qui è l’intervento che vi ho mostrato prima).
Torno a farvi vedere il post intervento e qui vi indico l’ingresso del trocar; come vedete c’è un piccolo segno, qui c’è l’altro segno e qui ce n’è un altro, però questo significa molta poca infiammazione, molto poco fastidio legato ai punti e quindi una ripresa, da parte del paziente, molto rapida.
Altro aspetto, che volevamo analizzare inizialmente, è la dispersione di fluidi intraoculari: è molto minore nei 27 e 25 gauge rispetto ai 23 e soprattutto ai 20 gauge e questo per via delle dimensioni dell’apertura sclerale (ciò ci permette un minor trauma di parete, un minor ipotono).
La curva di apprendimento è molto simile tra il 23 e il 20 gauge, perché le dimensioni si avvicinano; più difficile e più lunga può essere per il 25 e il 27.
Tornando alla diapositiva iniziale, 25,23 e 27 gauge: l’inserizone di trocar, il sistema illuminante, il cutting rate, gli strumenti chirurgici, le manovre intraoculari, l’iniezione dei sostituti vitreali e curva di apprendimento… Vediamo che è praticamente tutto uguale; la tecnologia ci sta mettendo a disposizione strumenti di calibro minore a velocità di taglio maggiore e la curva di apprendimento è più veloce per i 23 gauge, quindi la nostra opinione è che i 27 e i 25 gauge sono meno traumatici, mentre il 23 gauge è più veloce.
Vi mostro adesso un video che rappresenta una chirurgia vitreoretinica, in maniera tale da darvi tutti gli elementi che il chirurgo osserva durante la propria chirurgia e per cercare di avere quegli elementi che portano, dall’inizio alla fine, l’intervento (come quando uno prende la macchina, inserisce la chiave nel cruscotto, mette la prima, parte e poi arriva, parcheggia e chiude la macchina).
Questi sono i trocars e la pupilla è dilatata; da qui entra l’infusione, perché tanto fluido io tolgo dal bulbo oculare con il vitrectomo, che è qui (questa è l’asportazione del vitreo anteriore), tanto fluido entra dall’infusione; andiamo a togliere prima il vitreo anteriore intorno alla sclerotomia, in maniera tale da evitare di avere delle rotture, andiamo poi a togliere il vitreo posteriore e andiamo a colorare con dei coloranti (ce ne sono diversi in commercio) il vitreo posteriore. Quello che noi vogliamo ottenere è una rimozione completa del vitreo, perché eventuali residui del vitreo possono, in tempo successivo alla chirurgia, determinare delle trazioni, dunque delle rotture e quindi un distacco di retina; andiamo a indurre il distacco di vitreo soltanto con l’aspirazione, andiamo intorno al nervo ottico e, aspirando con il vitrectomo, stacchiamo il vitreo e vediamo qui l’anello di Weiss; in questa maniera noi visualizziamo molto bene tutto il vitreo e completiamo la vitrectomia (questa manovra dura un po’ di tempo). Una volta che noi riusciamo a ottenere il distacco del vitreo ci accorgiamo di quanto vitreo ancora sia presente all’interno del bulbo oculare e spesso, quando dobbiamo rimettere mano a degli interventi in cui non è stato indotto dal chirurgo precedente il distacco di vitreo, ci accorgiamo che, all’interno del bulbo oculare, c’è ancora una montagna di vitreo, dunque questo momento chirurgico è fondamentale per andare a proseguire con una chirurgia completa per quanto riguarda la patologia maculare, si tratta di un passo imprescindibile.
Completata la vitrectomia andiamo, con la nostra pinza (questo è un 23 gauge), a togliere la membrana epiretinica, quindi andiamo a saggiare la membrana e andiamo a vedere se troviamo un piano di clivaggio; delicatamente proviamo a tirare, a vedere se la membrana epiretinica riesce o meno a staccarsi senza troppo traumatismo dalla superficie retinica e cerchiamo di ottenere una manovra “a fiore”, cioè noi abbiamo tanti petali e cerchiamo di strappare la membrana delicatamente, in maniera centripeta, cioè verso il centro, verso la macula, che è la parte nobile della retina, o meglio: la macula è la parte nobile della retina, mentre la parte centrale della macula è la fovea, quindi cerchiamo di mantenere il più possibile l’integrità della fovea e di evitare trazioni e traumatismi sulla fovea, la parte centrale della parte nobile.
Come vedete qui stiamo staccando la membrana fino a quando ci rimane un picciolo di adesione molto piccolo, centrale, che si stacca molto facilmente. Come potete notare abbiamo isolato, sezionato e rimosso completamente la membrana; poi andiamo a ricolorare la superficie retinica con questi coloranti che hanno un tropismo per la membrana epiretinica e per la membrana limitante interna: questa ricolorazione ci serve per vedere se abbiamo lasciato dei residui della membrana epiretinica e per andare a togliere la membrana limitante interna, che è la struttura su cui la membrana epiretinica si è formata; a volte questa struttura può fare da base per una nuova riproliferazione della membrana epiretinica (evento, peraltro, molto molto raro).
Qui stiamo togliendo la membrana limitante e come vedete c’è una differenza di colore, c’è uno sbiancamento, che è tipico della rimozione della membrana limitante.
Spero che questa presentazione sulla chirurgia vitreoretinica e sulla vitrectomia “didattica” sia stata utile per farvi capire meglio qual è l’approccio del chirurgo vitreoretinico nel caso in cui si trovi ad affrontare una patologia maculare.
Passiamo, ora, a un altro argomento, che è il foro maculare: il foro maculare è una patologia che viene a colpire soprattutto soggetti anziani, c’è una prevalenza maggiore nel sesso femminile ed è una patologia molto invalidante; abbiamo diverse classificazioni e il primo a descriverlo è stato Gass, il quale ha descritto oftalmoscopicamente, cioè: guardando soltanto con l’osservazione alla lampada a fessura, quindi osservando il fondo dell’occhio del paziente, ha descritto questa entità; diverse altre classificazioni si sono poi susseguite, vi è una classificazione OCT e l’OCT è uno strumento che ci permette una visualizzazione della retina non di faccia ma di taglio e quello che aveva ipotizzato Gass dal punto di vista anatomopatologico è stato confermato con lo strumento OCT (Optical Coherence Tomography: tomografia ottica a luce coerente).
Questo è l’aspetto di un fondo dell’occhio, qui vedete come il foro maculare: come vi ho detto poc’anzi la macula è la parte nobile della retina, la parte centrale della macula è la fovea, a livello della fovea si ha un foro e ciò vuol dire che il paziente, al centro dell’occhio, non vede nulla. Per intenderci: quando noi guardiamo nostra moglie negli occhi, gli occhi di nostra moglie cadono sulla fovea e le spalle, il tavolo, la sedia e la finestra cadono nella periferia della retina; questo vuol dire che se io ho un foro maculare, per guardare nel viso di mia moglie devo guardare verso la sua spalla, cosìcché con la coda dell’occhio io riesca a vedere il suo viso; ovviamente è una visione molto molto approssimativa, quindi si tratta di una patologia molto invalidante.
Questo è l’OCT del foro maculare: vedete che qui c’è un riflesso strano dovuto a questa membrana che sta trazionando sulla retina e sta aprendo la retina e i fotorecettori, che sono in questa posizione, vengono portati fuori e quindi il paziente non riesce più a vedere ma per farlo deve usare questa parte di retina che, però, non è più quella parte di retina deputata alla visione distinta.
Questo è un altro foro maculare, vedete la differenza: questo foro è di vecchia data e si vede dal fatto che i margini sono molto arrotondati e qui ci sono delle cisti intraretiniche.
Quest’altro è un foro più recente: i margini sono acuminati, non arrotondati e questo vuol dire che la trazione è più recente; quindi, oftalmoscopicamente ma soprattutto con l’OCT io ho la possibilità di capire quali fori possono essere riparati chirurgicamente, quali sono suscettibili di un miglioramento anatomico (e quindi si spera funzionale) e quali invece è più improbabile che siano suscettibili di un miglioramento anatomico a mezzo dell’intervento.
Questo è un altro foro maculare ma non a tutto spessore, bensì è un foro lamellare, perché e soltanto una lamella di tessuto che manca (i fotorecettori sono ancora presenti); questo paziente vede ancora molto bene, probabilmente non ha neanche la percezione del problema, non vede storto non ha un buco nella sua visione e potrebbe anche non avere mai bisogno, nella sua vita, di chirurgia, perché non è detto che questa situazione evolva; andrà sicuramente controllato nel tempo per verificare che non ci sia un peggioramento anatomico a cui, inevitabilmente, si accompagnerà un peggioramento funzionale.
Questo è un altro paziente che ha una membrana epiretinica, questa è una cisti intraretinica e qui si sta formando il foro maculare; è una situazione in cui va seguito, a meno che il paziente non abbia metamorfopsie (cioè una visione distorta) e a meno che il suo visus non subisca un calo in termini non solo qualitativi ma anche quantitativi.
Questo è un foro maculare a tutto spessore a margine acuminati; questo è a margini arrotondati e questo è un foro lamellare dove la funzione può ancora essere buona.
Quindi noi, quando decidiamo di operare, che cosa guardiamo?
La funzione visiva, cioè la quantità di visus ma anche la qualità della funzione, perché a volte il paziente può anche avere 7/10, quindi un ottimo visus ma un’alterazione così disturbante, in termini di qualità, che il paziente tende ad escludere l’occhio con la patologia e quindi, in quel caso, è giustificato un intervento chirurgico.
L’altro fattore che noi andiamo a osservare è il timing, cioè quando andare a operare; il timing è legato alla funzione e all’andamento, per questo che, spesso, i pazienti vengono seguiti periodicamente (ogni 2/3 mesi) con la visita e con l’OCT, che è un ottimo strumento che ci dà non soltanto un’informazione atomica ma ci dice qual è l’evoluzione, ci permette di spiegare al paziente esattamente di cosa stiamo parlando, cosa sta succedendo dentro all’occhio e quindi ci da un supporto sia nella comunicazione che nella decisione chirurgica.
Parliamo ora di Membrana Epiretinica: essa è una membrana fibrocellulare avascolare, che prolifera sulla superficie interna della retina, producendo vari gradi di disfunzione maculare. Questa membrana ha diversi nomi e può determinare una distorsione per cui la visione viene alterata sia in termini di qualità che in termini di quantità, perché la membrana può fare da schermo (e quindi io vedo di meno in termini di decimi), sia può coartare la retina e spostare i vasi e la regolare anatomia e questo può determinare una visione pessima in termini di qualità, cioè: si vede storto, si vede un’immagine, tipo un quadro di Picasso, in maniera tale che spesso il paziente è talmente disturbato che per vedere bene deve occludersi l’occhio con il problema maculare.
Queste sono alcune immagini: qui si vede molto bene questa membrana sul piano retinico e vedete bene come i vasi sono stirati; è una patologia che interessa il 5.3% della popolazione generale sopra i 50 anni, il 10% della popolazione sopra i 70 anni, il 70% è idiopatica (che significa che non sappiamo individuare la causa della patologia) e il 30% è secondaria, cioè dovuta a manovre chirurgiche, dovuta a traumi o infiammazioni; ovviamente le percentuali sono alte ma non tutti i pazienti che hanno questo tipo di patologia devono necessariamente subire l’intervento, perché a volte, nel corso di un esame routinario, il paziente viene visitato e viene scoperta la presenza della membrana ma egli è del tutto asintomatico, quindi se il paziente non ha un problema noi non lo tocchiamo.
Anche in questo caso Donald Gass, colui che ha per primo studiato il foro maculare fornendoci una classificazione, ha studiato anche la membrana epiretinica, dando una classificazione a seconda del tipo di ispessimento e del tipo di caratteristiche di questa membrana.
I sintomi dipendono dallo spessore e dall’estensione della membrana, dalla sua contrazione e dalla conseguente trazione sugli strati retinici; ci può essere una totale assenza di sintomi o la comparsa di metamorfopsie, uno scotoma centrale e la riduzione dell’acuità visiva e quindi, ancora una volta, parliamo di funzione visiva, che prevede quantità e qualità della visione.
La terapia è sempre la vitrectomia transcongiuntivale per via pars plana, andando, con delle pinze, a strappare delicatamente la membrana epiretinica.
Le indicazioni dell’intervento sono: un calo del visus, l’incremento delle metamorfopsie (cioè della visione distorta: spesso noi facciamo l’esempio al paziente dicendo che le piastrelle che si hanno in cucina le si guardano con un occhio e poi con l’altro occhio; il paziente che ha la membrana epiretinica noterà che il profilo della piastrella è ondulato e ciò significa che la membrana sta trazionando sulla parte centrale della retina (la macula) e l’immagine cade sulla retina seguendo questo profilo, e quindi è ondulata).
Altro elemento che ci aiuta nell’indicazione, nel suggerire l’intervento, è la motivazione del paziente, perché se egli ha un visus quantitativamente alto ma è molto disturbato dalle metamorfopsie, per cui non riesce a guidare, non riesce a leggere e, insomma, non riesce a svolgere le attività che nella quotidianità tutti dobbiamo svolgere, questo è un elemento che ci induce ad accompagnare il paziente all’intervento, anche se sì, corre dei rischi, ma giustificati dal beneficio atteso.
Un altro elemento è se la membrana è visibile oftalmoscopicamente, cioè vuol dire che noi, durante la nostra visita a lampada a fessura, la vediamo e la vediamo anche con l’esame OCT di cui abbiamo già parlato.
Altra indicazione è la distorsione dei vasi maculari: se questi sono molto distorti questo è un altro elemento che ci induce a procedere con l’intervento.
Ma quale paziente beneficia della chirurgia?
Ci sono diversi fattori: bisogna stare sempre a valutare qual è, nel piatto della bilancia, il timing giusto per procedere con l’intervento, perché un conto è l’anatomia e un conto è la funzione.
Riprendo ancora una volta: l’acuità visiva, una bassa acuità visiva preoperatoria significa un maggior miglioramento dell’acuità visiva nel post intervento; questo è senz’altro vero, però è anche vero che se io aspetto troppo tempo a intervenire, questo significa che i fotorecettori sono alterati e l’acuità visiva cala; quando il tempo in cui i fotorecettori si mantengono in questa posizione anomala e si prolunga, questo significa che anche se io vado a togliere la membrana epiretinica, ormai, essendo la retina elastica, il ripristino dell’anatomia può essere difficile; mi spiego meglio: se io ho un elastico e tiro in maniera centrifuga le due estremità ma lascio immediatamente una delle estremità, l’elastico torna indietro; se invece io mi mantengo in questa posizione per diverso tempo, a un certo punto l’elasticità intrinseca viene persa e l’elastico, anche se io lascio uno dei due capi, non torna indietro ma rimane allungato. Questo significa che prima io intervengo, prima riesco a togliere quella trazione che determinava un’anomalia nel profilo retinico; togliendo la trazione torna una regolare forma della retina e quindi si ripristina la depressione foveale e ciò significa miglioramento dell’acuità visiva, quindi io vado a intervenire quando ho una bassa acuità visiva ma, migliorando le tecniche e riducendo i rischi, posso osare di intervenire anche con acuità visive non troppo basse, in maniera tale da favorire un miglioramento della funzione visiva nel post intervento.
Per quanto riguarda lo spessore retinico foveale, non sempre l’acuità visiva è correlata allo spessore pre e post intervento, però questo è un dato importante che dobbiamo tenere a mente, (il perché poi ve lo spiegherò con una successiva diapositiva), come lo sono anche lo strato dei fotorecettori e l’integrità della zona elissoide: questi due elementi sono importanti perché quando questa zona qua è mantenuta regolarmente, anche se lo spessore è maggiore rispetto a quello che dovrebbe essere, la funzione visiva è buona; quando invece lo spessore è normale e anche la morfologia della fovea è normale ma questa zona dei fotorecettori è alterata, allora nonostante anatomicamente nell’OCT ci sia un bell’aspetto dell’immagine, il paziente è scontento poiché la funzione visiva non migliora.
Qui abbiamo un’immagine dell’autofluorescenza e vedete come questo sia un danno della fibra ottica, quindi anche il tempo in cui noi ci manteniamo all’interno del bulbo oculare con la pinza e la fibra, può essere un fattore prognostico per quanto riguarda il beneficio anatomico e il beneficio, quindi, funzionale.
Dunque, riassumendo: acuità visiva, distorsione e l’aspetto dell’OCT, sono gli elementi che ci danno la decisione per il timing chirurgico.
Ho concluso, spero di essere stato chiaro; vi ringrazio e ringrazio Blue Eye per l’opportunità che mi ha offerto.
Buona giornata.
Il 06.07.2020 Blue Eye vi invita ad un nuovo webinar “La chirurgia Vitreo-Retinica” tenuto dal Dott. Stefano Ciaccia, oculista dell’Istituto Auxologico Italiano.
L’incontro è suddiviso in tre parti:
Ore 18,00
VITRECTOMIA: sarà presentata una procedura chirurgica finalizzata alla rimozione totale o parziale del corpo vitreo, spiegando come, negli ultimi anni, l’evoluzione delle tecnologie e degli strumenti utilizzati, abbiano migliorato i risultati e il recupero post operatorio, grazie ad una chirurgia mininvasiva.
Ore 18,30
FORO MACULARE: tramite slide illustrative, saranno spiegati quali siano i problemi invalidanti che questa patologia comporta, quali esami diagnostici siano necessari effettuare per individuare il timing più corretto per effettuare l’intervento.
Ore 18,45
MEMBRANA RETINICA (Pucker maculare) sarà mostrato come la membrana che prolifera sulla superficie interna della retina, produca vari gradi di disfunzione maculare, alterando la visione sia in termini quantitativi che qualitativi. Saranno spiegati sintomi, terapie e date indicazioni per affrontare l’intervento.